CMOS contro CCD. Fine di un'era? - Pt 2
Interpretazione del sensore CMOS
di Mauro Narduzzi - Skypoint SrlNello scorso post abbiamo parlato delle differenze tra sensori CCD e sensori CMOS senza dare un’interpretazione dei dati forniti. Dal momento che stiamo parlando di sistemi elettronici piuttosto complessi, in cui molti fattori concorrono alla creazione dell’immagine finale, è giunto il momento di mettere assieme tutti gli elementi e dare qualche interpretazione, che si tradurrà poi in un impiego pratico sul campo.
Abbiamo visto che il rumore di lettura di un sensore CMOS è tipicamente molto contenuto e variando (alzando) il gain è addirittura possibile abbassarlo ulteriormente. Lo scotto da pagare è una forte compressione della dinamica.
Prendiamo ad esempio le tabelle e i grafici presenti nelle prossime pagine, contenenti alcune misurazioni a differenti livelli di gain, ottenute con una camera CMOS raffreddata QHY163M del produttore cinese QHYCCD e dotata del sensore CMOS Panasonic MN34230.
La prima colonna indica il valore di gain così come indicato nei parametri del software di acquisizione. La seconda colonna riporta il valore di ADU misurato in un secondo di esposizione. La terza e la quarta colonna mostrano il valore di gain reale misurato in dB e in e-/ADU. Le ultime tre colonne riportano invece rispettivamente il valore di saturazione in e- (dunque la Full Well Capacity) e il range dinamico (Dynamic Range) in dB e in stop (EV).
L’ultima riga riporta per confronto i valori tipici offerti da un sensore KAF-8300, tra i più usati in astrofotografia grazie all’ottimo rapporto qualità/prezzo offerto.
È immediato notare che all’aumentare del gain il rumore di lettura si abbassa sempre di più fino a stabilizzarsi, nel caso di questo esemplare testato, attorno a 1 e-, mentre il range dinamico e soprattutto il livello di saturazione del sensore si abbassano drasticamente. Oltre gain = 30 non c’è guadagno sul rumore di lettura.
Figura 1 - Tabella con misurazioni effettuate su una camera CMOS raffreddata QHYCCD QHY163M dotata di sensore Panasonic MN34230. L’ultima riga riporta le caratteristiche tipiche di un sensore CCD tra i più diffusi, il KAF-8300. Nota: il valore 137200 è estrapolato da una media di 10 frame da 0.1 secondi moltiplicando poi il valore per 10. Integrando 1 secondo si andava in saturazione e dunque non si sarebbe potuto ottenere un numero direttamente comparabile.
Figura 2 - Andamento del rumore di lettura in rapporto al gain software su camera CMOS raffreddata QHYCCD QHY163M dotata di sensore Panasonic MN34230. Cortesia Marco Svettini.
Figura 3 - Misurazione del rumore a gain=0 e offset=10 su camera CMOS QHYCCD QHY163M raffreddata a -20° C. La misurazione è stata effettuata prendendo come riferimento un quadrato centrato di 512x512 pixel. Il bgnoise è il rumore di fondo a meno degli hot pixel, mentre sigma è la pura deviazione standard rilevata sull’area selezionata. La sigma dei frame cresce con il tempo di esposizione più velocemente del bgnoise a causa dell'aumento del numero e dell'intensità degli hot pixel. Misurazioni effettuate con software IRIS. Cortesia Marco Svettini.
Figura 4 - Analisi del rumore a gain=10 e offset=20. Vedi figura 3 per spiegazione del metodo di analisi. Cortesia Marco Svettini.
Figura 5 - Analisi del rumore a gain=20 e offset=40. Vedi figura 3 per spiegazione del metodo di analisi. Cortesia Marco Svettini.
Figura 6 - Analisi del rumore a gain=30 e offset=80. Vedi figura 3 per spiegazione del metodo di analisi. Cortesia Marco Svettini.
Alla luce delle analisi presentate, un primo giudizio che possiamo dare è che i sensori CMOS di ultima generazione sono molto efficienti addirittura alla pari, se non più efficienti, dei migliori sensori CCD in circolazione. Possiedono un’ottima dinamica, se usati a gain bassi, e hanno un rumore molto contenuto.
In secondo luogo possiamo affermare che più si alza il guadagno e più conveniente sarà produrre tantissime pose molto corte, anche solo pochi secondi. Questo vale soprattutto in condizioni di segnale debole, ossia in ripresa LRGB di zone molto deboli (pensiamo alla elusiva IFN – Integrated Flux Nebula) e in riprese a banda stretta, dove necessariamente si dovranno allungare i tempi di posa per raggiungere un rapporto segnale/rumore (SNR) sufficiente. Discorso simile può essere applicato a rapporti focali lunghi (F/8 - F/10) che richiederanno tipicamente di alzare il guadagno per raggiungere un sufficiente SNR.
La differenza col CCD è profonda: in un CCD il rumore di lettura è piuttosto elevato e sommare tante pose molto corte fa sì che il contributo del rumore di lettura renda vana la lunghezza totale della ripresa. Nel caso del sensore CMOS, invece, il contributo del rumore di lettura è minimo ad alto guadagno, ed essendo la dinamica disponibile estremamente limitata ad alto guadagno non avrà senso allungare le pose. Le parti più brillanti (ad es. le stelle ) satureranno immediatamente. Facendo un esempio numerico, se col CCD conviene riprendere 30 pose da 10 minuti, col sensore CMOS è invece più conveniente fare 150 pose da 120 secondi o 300 pose da 60 secondi e così via. Più si alzerà il gain e più piccola potrà essere la singola posa. Ad esempio, a gain molto elevati (e su soggetti particolarmente brillanti) potrà essere conveniente riprendere 3600 pose da 5 secondi ciascuna.
Questo tipo di modalità operativa, che ribadiamo essere molto differente dal CCD, offre una serie di vantaggi non indifferenti:
- Grazie all’impiego di pose molto corte, l’eventuale presenza di subframe rovinati (ad esempio mossi) risulterà meno penalizzante. Se perdiamo una posa da 20/30 minuti con un CCD perdiamo una fetta consistente della nostra integrazione totale, se perdiamo (anche decine) di pose da 5, 10, anche 60 secondi non ne faremo di certo un dramma.
- A gain elevati potremo anche fare a meno dell’autoguida. Subframe da pochi secondi sono molto permissivi in tal senso ed è addirittura possibile pensare di usare sistemi altazimutali purché motorizzati. Bisognerà tenere naturalmente conto della rotazione di campo, dunque il caso è un po’ al limite, ma per certi impieghi è sicuramente possibile e in rete si trovano già diversi esempi molto interessanti. Già fare a meno dell’autoguida – fonte di grattacapi soprattutto per gli astrofotografi principianti – sarebbe un grandissimo risultato.
- L’uso di pose molto corte consente di impiegare tecniche di lucky imaging usate con profitto in alta risoluzione planetaria, e con un’accurata selezione dei frame migliori sarà possibile registrare dettagli finissimi, stelle più deboli e con aspetto più puntiforme. Si apre in sostanza la possibilità di fare una sorta di alta risoluzione del profondo cielo, specialmente su certi soggetti particolarmente brillanti e compatti, e sarà possibile ottenere immagini con un livello di dettaglio raramente visto in precedenza. Pensiamo ad esempio agli intricati dettagli della nebulosa planetaria M 57 nella Lira.
- Abbiamo già detto che su pose molto lunghe si nota maggiormente l’effetto deleterio del seeing che si evidenzia in stelle generalmente più “grosse”. Usando pose molto corte si avrà invece una maggiore puntiformità stellare e più dettagli fini. In altre parole, per registrare il minimo dettaglio possibile dato dall’ottica sarà ora necessario un campionamento più elevato. Ecco allora che la piccola dimensione dei pixel, di cui il sensore CMOS è solitamente dotato, potrà essere ora un vantaggio. Naturalmente senza esagerare!
- La somma di tantissime immagini di durata molto breve consente di ovviare al problema della riduzione della dinamica quando vengono impostati gain elevati. Come per l’alta risoluzione planetaria, sommando tantissime immagini si aumenta il range dinamico e la profondità in bit. La regola è molto semplice: a parità di tempo di esposizione del subframe, per duplicare il range dinamico (ossia aumentare di 1 stop la dinamica) bisognerà quadruplicare il numero di pose. Naturalmente vi potrà essere un limite pratico oltre il quale non diventa più conveniente andare. Se il sensore CMOS è invece dotato di un convertitore A/D a 14 bit il problema è meno sentito a basso guadagno.
Figura 7 - La celebre galassia a spirale NGC 7331 in Pegaso ripresa da Emil Kraaikamp con una camera non raffreddata dotata di sensore CMOS Sony IMX249. L'immagine elaborata è il risultato di una somma di 3800 pose da 1 secondo ciascuna. Lo strumento utilizzato è un Dobson 40 cm F/5 su piattaforma equatoriale. L’immagine è utile anche per ribadire un altro concetto: il rumore elettronico nei sensori CMOS di ultima generazione è così basso che non si sente la mancanza del raffreddamento. L’immagine parla da sola.
In banda stretta, a causa dello scarso rapporto segnale/rumore che tipicamente caratterizza tali riprese, sarà necessario allungare le pose anche a diversi minuti per i soggetti più deboli. La scarsissima dinamica a disposizione, imposta dalle modalità ad alto guadagno, causerà probabilmente la saturazione delle stelle più brillanti presenti nel campo. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le stelle sature saranno statisticamente molto poche. Dovremo comunque tenere conto delle possibili eccezioni, pensiamo ad esempio a una ripresa in banda stretta sulla Nebulosa Fiamma (NGC 2024) con la vicinissima e brillantissima Alnitak (ζ Orionis) o IC 59 e IC 63 appena ad sudovest di Tsih (γ Cassiopeiae).
Si noti che su una reflex digitale cambiare la sensibilità ISO significa semplicemente variare il gain e tutte le proprietà riportate per i sensori CMOS si applicano alla stessa maniera. La differenza significativa è che le reflex digitali non sono raffreddate, anche se esistono soluzioni commerciali che aggiungono la termostatazione con celle di Peltier (vedi CentralDS). Altra differenza significativa è la risoluzione del convertitore A/D che generalmente è pari a 14 bit.
I risultati che cominciano a vedersi in rete mostrano le enormi potenzialità di queste tecniche di ripresa applicate al mondo dei sensori CMOS.
Figura 8 - Altra immagine di Emil Kraaikamp con strumentazione simile a quella citata precedentemente. Il soggetto è la nebulosa planetaria NGC 1501 nel Toro. Questa volta il sensore è un CMOS a colori IMX224. 2300 pose da 1 secondo. Si noti la delicata trama interna alla nebulosa planetaria. La risoluzione raggiunta è elevatissima.
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Nel prossimo articolo applicheremo quanto è stato discusso fin qui, stilando una serie di linee guida per l'uso dei sensori CMOS in astrofotografia a lunga posa del cielo profondo. Vi diamo appuntamento sempre qui, sul nostro blog, per la terza ed ultima parte del nostro articolo!
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