Il Sole al telescopio

Credits: Stefano Camaeti

 

Se c’è una cosa che proprio non possiamo dire, è che il Sole passi inosservato.

Premesso questo, vorrei però soffermarmi sul termine inosservato.

Perché questo è il primo concetto che doverosamente dobbiamo affrontare, quando parliamo nel nostro ambito: il Sole non va osservato, se non con le debite precauzioni.

Cioè: non va mai guardato, nel telescopio, senza l’opportuna filtratura.

Neanche a bassissimo ingrandimento (così basso che lui non se ne accorge nemmeno, che lo stiamo osservando).

Neanche socchiudendo gli occhi (maliziosamente o meno).

Neanche per un istante (più veloci della luce…).

Neanche quando è basso sull’orizzonte al tramonto, che sembra che non faccia male ad una mosca (ad una mosca forse no, ma attraverso l’amplificazione della luce del telescopio, può fare molto male alla nostra vista).

 

Volete il motivo tecnico, per cui non ne avvertiamo il pericolo?

 

Nei casi della vita, quando compiamo un gesto che ha immediatamente effetti dannosi per il nostro organismo, tipicamente ce ne accorgiamo altrettanto immediatamente, e a chi è caduto un contrappeso del telescopio sull’alluce, che tenevamo scoperto perché era estate e faceva caldo, sa esattamente cosa intendo…

La retina del nostro occhio, invece, non contiene terminazioni nervose; quindi, l’energia termica della luce del sole concentrata dal telescopio, mentre cuoce la zona della retina su cui cade, non produce alcun dolore, salvo poi accorgersi, quando ormai è troppo tardi, che ci è rimasto un buco perenne, nel nostro campo visivo.

 

E dopo questa allegra premessa, possiamo finalmente dedicarci a qualcosa di più divertente: l’osservazione del Sole… ma in una maniera molto particolare: nella lunghezza d’onda H-alfa.

 

Il Sole, forse per mania di protagonismo, emette energia in tutte le lunghezze d’onda possibili, dai raggi gamma alle onde radio. Nel limitato intervallo definito del “visibile”, abbiamo la luce che ci illumina e, sul disco del Sole, cioè la fotosfera, si vedono le cosiddette macchie solari, che sono una sorta di buchi sulla superficie, provocati dai poderosi campi magnetici solari, che scoprono la parte sottostante, meno luminosa (e infatti le macchie solari appaiono scure).

Ai margini della banda visibile c’è un’altra stretta, strettissima banda in cui avviene l’emissione H-alfa, che è una particolare lunghezza d’onda emessa dall’idrogeno. Non solo è strettissima, ma è anche mille volte più debole della luminosità dell’adiacente fotosfera, che vediamo normalmente (ma non senza un filtro…).

Immaginate quindi lo sforzo tecnico necessario per riuscire ad osservare una luce che è mille volte più debole della luminosità in cui è immersa. Sarebbe come voler vedere la luce di una candela, allineata proprio davanti ad una potente lampada alogena accesa…

Ma una volta riusciti nell’intento, e cioè potendo utilizzare appunto un sofisticato filtro H-alfa, il Sole appare di aspetto del tutto inusuale: sul disco di un colore arancione acceso (eh si, ovviamente è “acceso”: parliamo del Sole…), vedremo una superficie percorsa da sinuosi filamenti di un arancione più intenso mentre, disseminati qua e là lungo il bordo del disco solare, si vedranno pennacchi luminosi (le protuberanze) proiettarsi fuori del contorno del Sole.

Intendiamoci: poca roba, ‘sti pennacchi. Non sono che esplosioni grandi poche decine di migliaia di chilometri, al massimo poche centinaia di migliaia di chilometri, di gas incandescente a temperature si e no di diecimila gradi…

 

Mentre sul disco arancione del Sole a cui accennavo prima - la cromosfera - i filamenti sono proprio le protuberanze viste “dall’alto”, in verticale.

 

E tutte queste manifestazioni le possiamo vedere spesso cambiare di aspetto ed estensione anche da un giorno all’altro, a volte da un’ora all’altra. Come dire: alla faccia dell’immobile eternità sbandierata dall’antica astronomia!