Questioni di prospettiva

Precedentemente, parlando di congiunzioni astronomiche, si sottolineava il fatto che la vicinanza in cielo tra due astri è spesso solo prospettica, cioè si tratta di un accostamento illusorio.

Se vogliamo provare a comprenderne il meccanismo, dobbiamo partire… da lontano (quasi volessimo rimanere in argomento “distanza”!) e riferirci alla nostra evoluzione biologica.

L’essere umano, come ogni altro essere vivente che popola la superficie terrestre, si è evoluto in funzione delle necessità da affrontare per la propria sopravvivenza.

Così, riguardo alla vista, dovendoci confrontare con le tipiche distanze quotidiane – dal valutare la distanza di un oggetto da prendere in mano, o di un ostacolo da evitare mentre camminiamo, o ancora capire se un masso ci può precipitare addosso (questo soprattutto in epoche preistoriche…) o se (in tempi più attuali) un autoveicolo sta per investirci, la natura ci ha dotato di una caratteristiche che si chiama visione stereoscopica, attraverso la quale utilizziamo i nostri due occhi (con buona pace di Polifemo…), che essendo distanziati tra loro (di circa 7 centimetri), ci permettono di valutare quanto lontano da noi si trova un oggetto, negli esempi di prima.

La separazione tra gli occhi di circa 7 centimetri non è casuale, in quanto ci permette di stimare automaticamente distanze fino a qualche decina di metri da noi, che è il raggio d’azione utile che l’evoluzione naturale ha ritenuto sufficiente per sopravvivere.

Potremmo valutare distanze ancora maggiori se avessimo gli occhi più distanziati tra loro, ma ciò implicherebbe dimensioni craniche meno agevoli per la nostra deambulazione (pensate a doverci portare in giro una testa grande 50 o 100 centimetri…).

Il meccanismo con cui percepiamo le distanze è la cosiddetta triangolazione, che facendoci vedere gli oggetti da angolatura leggermente diverse con un occhio rispetto all’altro, permette al nostro cervello di elaborare un modello visivo che ci consente di valutare le distanze, entro i limiti indicati prima.

Se proviamo infatti a osservare, rimanendo immobili, un oggetto a uno o due metri da noi, rispetto allo sfondo distante, guardandolo alternativamente con un occhio tenendo chiuso l’altro, ci accorgeremo che l’oggetto si sposta rispetto allo sfondo, a seconda dell’occhio con cui lo guardiamo. E si sposterà via via di meno quanto più sarà distante da noi, fino a rimanere fermo per distanze oltre qualche decina di metri.

L’uomo, dimensionalmente parlando, è molto più piccolo dell’Universo. E non solo dell’intero Universo, ma anche solo degli oggetti celesti più vicini a noi, come ad esempio la Luna.

Così, se vogliamo stimare la distanza ad occhio del nostro satellite, il nostro cervello nulla può (non è una distanza che ci serve poter valutare per la nostra sopravvivenza biologica) e questo fa sì che quando la Luna passa prospetticamente vicina ad un pianeta o ad una stella, noi si abbia l’illusione che i due oggetti siano effettivamente vicini tra loro.

Per riuscire a percepire la distanza della Luna con il meccanismo della triangolazione, i nostri occhi dovrebbero essere distanziati tra loro di almeno …un migliaio di chilometri!